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Frutti d’autunno, la ricchezza delle antiche cultivar di mele calabresi

Frutti d’autunno, la ricchezza delle antiche cultivar di mele calabresi

Dalle coltivazioni tropicali del Reggino, dove maturano mango e annona, avocado e passion fruit, fino ai frutteti d’altura dell’Aspromonte, della Sila e del Pollino, il patrimonio di biodiversità che vive nella varietà dei paesaggi della Calabria si vede tutto nei suoi frutti. Un vero tesoro, se si pensa a come la grande distribuzione organizzata (GDO) ha in qualche modo abituato i consumatori a riconoscere solo alcune varietà, riducendo la percezione della ricchezza agricola reale e rendendo uniformi anche i gusti. Eppure, in diverse aree della regione, in pianura e in montagna, esiste ancora un’eredità di frutti antichi che racconta un modo diverso di coltivare, fatto di stagioni, microclimi e cultivar riscoperte da chi continua a credere nel valore della diversità.

Sull’altopiano silano, per esempio, la coltivazione di meli è documentata da secoli. Già al tempo del Regno delle Due Sicilie, i frutti della Sila raggiungevano mercati lontani, trasportati con i carri fino ai porti e poi caricati sui bastimenti diretti al Nord Italia. Dopo l’Unità e fino agli anni Quaranta, la produzione era ancora fiorente, ma la meccanizzazione e l’abbandono delle aree montane portarono a un lento declino dei frutteti. Le mele della Sila venivano raccolte tra settembre e dicembre e conservate sulle ‘ncannizzate, i graticci di canne intrecciate che permettevano una lunga conservazione naturale. Molte di quelle varietà sembravano essere scomparse fino a quando, qualche decennio fa, alcuni agricoltori le hanno cercate e ripreso a coltivarle.

Nella zona di San Giovanni in Fiore, in particolare, il centro agrario fondato da Domenico Andrieri ha raccolto in più di vent’anni oltre ottocento varietà di melo, riscoperte con un lavoro certosino nei diversi paesi della Sila, nei conventi e nelle antiche dimore rurali. Un grande lavoro di ricerca che ha riportato alla luce un meraviglioso patrimonio genetico e che ha permesso di salvare cultivar considerate perdute.

C’è la Scacciatella, dolce e succosa con la polpa croccante; la Limuncella, anch’essa succosa e aromatica, ottima per produrre anche il sidro e tra le più pregevoli cultivar meridionali; la Calvilla, dolce e profumata con note di fragola e cannella; e poi un’infinità di nomi in cui perdersi, anche molto evocativi, come la mela del Faraone, dal colore rosso vinoso.

Alcune varietà, come la mela Agostina, sono tipiche delle zone tra Sila e Pollino e hanno la polpa croccante e dolce, ideale per succhi e confetture. Esiste anche l’Annurca silana o la mela Fragolina, piccola e profumatissima, delicatamente dolce ma con una nota fresca di acidità, mentre la Rosetta silana, oltre che per la succosità, si riconosce per la consistenza soda della polpa. Dall’area del Pollino provengono invece la mela Saracena, croccante e acidula, usata anche per la produzione di aceto di mele, o la mela all’olio, per via della sua buccia naturalmente lucida e un po’ oleosa.

Nell’estremo Sud della regione, nell’area grecanica, la coltivazione del melo si lega a varietà locali di grande interesse. Piccoli appezzamenti e orti familiari ospitano ancora piante recuperate da vecchi innesti, individuati grazie alla memoria dei contadini e degli anziani. Tra queste, la mela I Xjarvu, dal frutto piccolo e profumato, polpa chiara e sapore dolce con una leggera punta acidula. In passato era utilizzata anche per profumare gli ambienti e i corredi, proprio per la sua capacità di mantenere a lungo l’aroma naturale.

Accanto a questa varietà si coltivano ancora mele rustiche di montagna, come la Cuacciu, di forma irregolare e sapore pieno, poco zuccherino ma persistente, e altre varietà minori che resistono nei giardini privati e nei piccoli poderi delle zone più interne.

Oggi la melicoltura in Calabria copre — secondo dati del Consorzio per la Difesa delle Produzioni Agricole della Calabriacirca 450 ettari di superficie, un dato che spiega la dimensione ancora di nicchia del comparto, ma anche l’interesse crescente verso la produzione di qualità. In alcune aree, come Delianuova, ai piedi dell’Aspromonte, aziende locali hanno avviato meleti moderni in cui si coltivano varietà autoctone insieme a quelle più diffuse a livello nazionale. Qui si producono ogni anno circa 800 mila chili di mele destinate sia al mercato interno che all’esportazione, con impianti che si estendono tra i 600 e i 750 metri di altitudine.

Ognuna delle cultivar antiche, a coltivazione rigorosamente biologica, ha profumi e sapori rari, dati dall’altitudine che regola la maturazione, dal freddo che concentra gli zuccheri e dalla cura naturale che sostituisce i processi industriali.

L’attenzione per questa particolare coltura è parte di un movimento più ampio che riguarda la biodiversità regionale. Ogni varietà recuperata non è solo un frutto salvato dall’estinzione, ma un frammento della memoria e del magnifico corredo agricolo che appartiene alla Calabria.

Accanto ai coltivatori, tanti piccoli venditori scelgono di proporre solo prodotti locali, contribuendo a sostenere l’economia del territorio e a diffondere una cultura del consumo più consapevole. Così, nei piccoli negozi o nei mercati rionali, si ritrova buona parte della biodiversità calabrese, fatta di profumi e sapori che difficilmente si trovano altrove.

di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)

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