I ‘panicelli’ della Riviera dei Cedri, i dolci che ispirano poesia

Se è vero che cucinare è un gesto d’amore, preparare un dolce, magari, significa qualcosa in più. E se per arrivare al risultato finale ci vuole anche qualche mese, allora vuol dire che è proprio amore sconfinato. Ecco, quando assaggiamo quelli che chiamiamo dolci tipici, dobbiamo immaginare che per alcuni di essi c’è un ingrediente in più. Hanno dentro il tempo, quello dell’attesa, come natura insegna. Per capirlo basta fare un salto in uno dei paesi della Riviera dei Cedri, sulla costa tirrenica cosentina, perché tra ottobre e novembre, nelle case in cui la tradizione è religione, si preparano i panicelli.
Sono piccoli fagottini di uva passa e scorzette di cedro fresco, avvolti nelle foglie lucide e profumate dell’agrume, legati con filo di ginestra e poi cotti nei forni a legna. Quando quell’aroma incredibile di note agrumate e balsamiche si diffonde nell’aria, significa che i panicelli sono pronti.

Ma questa è solo la parte finale di una lavorazione che comincia mesi prima, quando il sole ancora generoso di settembre regala il colore dell’ambra ai chicchi d’uva duraca, lo zibibbo che cresce in Riviera. Prima della raccolta, si prepara la liscivia, ottenuta dalla cenere delle piante più aromatiche della macchia mediterranea, come mirto e lentisco. Ma a cosa serve? I grappoli legati con lo spago vengono immersi per breve tempo nella liscivia, a più riprese, per ottenere una lessatura veloce ma uniforme e per garantire, durante l’essiccazione al sole, la protezione naturale dell’uva grazie alla natura antibatteriche e antiossidanti della soluzione. Terminata l’essiccazione, i chicchi sono straordinariamente dolci e pronti per la preparazione dei panicelli.

A questo punto le ampie foglie di cedro vengono riempite con i due soli ingredienti. La vera magia però avviene in forno, perché è durante la cottura che gli zuccheri dell’uva e del cedro si sciolgono e si fondono tra loro in un ripieno morbido e dolce, con le note amare e aspre dell’agrume. Poi da scartare delicatamente con le dita. Anche questa volta, prendendosi del tempo.

Persino Gabriele D’Annunzio dedica ai panicelli raffinati pensieri. Lo fa nella fase della sua sperimentazione sulle forme brevi, in Leda senza cigno (1913), pubblicata sulle colonne del Corriere della Sera. Dalla sua penna felice il dolce, così piccolo, diventa metafora del piacere totale. Il momento in cui le foglie si aprono, una dopo l’altra, diventa pensiero sensuale della curiosità e dell’attesa. I panicelli, insomma, come un’epifania del gusto, in cui ciò che si svela all’interno è la sintesi di un piacere che coinvolge tutti i sensi. E nessuno, se non il Vate, avrebbe potuto descriverlo meglio.
di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)
Ph credits Consorzio del Cedro di Calabria


