La Corajisima. Quando le antiche tradizioni si uniscono alla fede

La Quaresima è uno dei periodi più belli per riscoprire se stessi e la propria fede. I quaranta giorni che precedono la Pasqua, rappresentano un momento di grande significato per la Chiesa cattolica. Un tempo di riflessione, penitenza e conversione, che invita i fedeli a riavvicinarsi a Dio e a prepararsi alla celebrazione della Resurrezione di Cristo.
Elemosina, digiuno e preghiera sono le pratiche che ci preparano in questo tempo richiamando il digiuno di Gesù nei quaranta giorni nel deserto e il periodo di prova vissuto dal popolo ebraico prima di entrare nella Terra Promessa, quarant’anni di peregrinatio in espiazione delle colpe commesse.
Ma da sempre in Calabria, le pratiche devozionali sono accompagnate da rituali antichi che con il tempo sono stati inglobati in quelli cristiani, come mezzo per rafforzare ancora di più il senso profondo del periodo quaresimale.

Tra queste una delle più diffuse è quella di preparare “la Corajisima” (conosciuta, a seconda della zona, anche con il nome di Curemme, Quarjisime o Quaremme). Il termine deriva dal latino quadragesima mentre l’origine dell’artefatto si perde nella storia. Si dice provenga da alcune usanze pagane legate al culto di Dionisio, tramandato fino ai giorni nostri oralmente. La tradizione vuole che dopo la morte di Re Carnevale che avviene il martedì grasso, il mercoledì delle ceneri si appendesse la Corajisima sui balconi o all’ingresso delle abitazioni.
Quella bambola di pezza

Ma di cosa si tratta? La Corajisima è una bambola di pezza realizzata con vecchie stoffe. La sua bocca, il naso e gli occhi vengono cuciti con un filo, mentre il corpo è costituito da un bastoncino rivestito con un vestito bianco e nero, colori che evocano il lutto, o talvolta con un abito nuziale. Il bastoncino viene infilato in un frutto come limone, arancia o fico secco. A simboleggiare lo scorrere del tempo, la Corajisima tiene in mano un fuso o, in alcuni casi, della lana.


Sul frutto su cui poggia vengono conficcate sette penne di gallina (sei nere e una bianca) in senso circolare, una per ognuna delle sei domeniche di quaresima e una per la Pasqua. Queste sette penne rappresentano altresì le sette settimane di quaresima, durante le quali è vietato consumare carne, soprattutto di maiale, cucinare in modo elaborato, mangiare dolci e ogni pratica che possa corrompere la sacralità del periodo.
La bambola è poi adornata con una collana (ma in alcuni luoghi anche tre) fatta con uva passita e fichi secchi o straccetti di guanciale, peperoncino e aglio, in relazione ai giorni di astinenza dai piaceri carnali e non solo del periodo quaresimale. Ogni domenica di Quaresima, dopo la Santa Messa, le donne tolgono una penna dalla bambola e un chicco di uvetta o un fico secco dalle collane, come una sorta di calendario ancestrale che segna l’avvicinarsi della grande luce.
Giunti alla Domenica delle Palme la bambola viene rimossa fino alla Domenica di Pasqua, quando viene bruciata nel fuoco, a simboleggiare l’avvenuta purificazione e in alcuni casi per scacciare gli spiriti maligni.

Nelle comunità arbëreshë Corajisima rappresenterebbe la Madonna Addolorata detta anche dei Sette Dolori (da qui le sette penne), e contrariamente ad altri luoghi dopo la domenica di Pasqua la bambola non viene bruciata ma conservata per essere riutilizzata l’anno successivo.
Grandi e piccini attendevano con ansia che la Corajisima venisse bruciata o rimossa, poiché ciò stava a significare che l’astinenza era finita, e mentre i giovani potevano riprendersi dai digiuni gustando i dolci pasquali, gli adulti potevano riappropriarsi dei momenti di affetto e intimità con le proprie consorti.
In alcuni paesi il termine “Corajisima” viene anche utilizzato per indicare una persona dall’aspetto poco gradevole “pari brutta cuomu na Corajisima”, forse ciò è dovuto al fatto che in passato durante la quaresima vi era divieto di pettinarsi e abbellirsi.
Una tradizione che resiste nel tempo
Quella della “Corajisima” è un’usanza che si è andata a perdere nel tempo salvo in alcuni luoghi. Con un po’ di fortuna, ne potreste avvistare qualcuna in uno dei paesini della provincia di Vibo Valentia, Reggio Calabria, Catanzaro e Rota Greca (CS), come Bova, Caulonia, Amaroni o San Floro. In questi luoghi, da alcuni anni, l’usanza della “Corajisima” insieme ad altre viene riproposta in modo vivido e coinvolgente. (Domenico Lo Duca)
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