La cucina di mare in Calabria: tesoro di una tradizione povera

Se chiedi di descrivere la Calabria in tre parole, generalmente salta fuori questo podio: mare, cibo, accoglienza. Tutto insindacabile con i nostri 800 chilometri di costa, una tavola che è l’happy-hour per gli appassionati di enogastronomia e i feedback – più o meno istituzionali – che provengono ogni anno dai turisti. Eppure c’è una rete in cui spesso si resta incagliati, soprattutto se non si è reduci da una Calabria Experience ma si fonda il giudizio su un sentito dire: è quella dello stereotipo che ci vede come mangiatori di ‘nduja e soppressate a colazione, pranzo e cena senza speranza di redenzione. Invece c’è qualcosa che lega la costa alla tavola e all’accoglienza: è la cucina di mare, riflesso di una posizione fortunata e strategica che pone la regione tra le acque dello Ionio e del Tirreno. Perché il mare è parte integrante della nostra cultura e la pesca ha radici antiche: non a caso in molti paesi si celebrano le feste dei pescatori, onorando “questo grande fratello blu” con sagre e processioni. La cucina di mare è anche un modo per preservare e onorare una tradizione culturale, attraverso cui tramandiamo i sapori mediterranei più autentici ed è molto più di un piatto: è un abbraccio tra l’amore per il mare e l’identità.


Si fa presto a dire merluzzo
Come per tutte le cose, paese che vai usanze che trovi perché all’interno della cucina regionale le ricette variano in base alla latitudine. Il baccalà alla cosentina e lo stocco alla mammolese, tanto per dirne una, sono mondi paralleli. E si fa presto a dire che è sempre merluzzo! Perché il baccalà è semplicemente merluzzo salato, lo stocco, invece, è frutto di un processo artigianale che richiede pazienza e abilità: il pesce secco, infatti, viene messo in ammollo alcuni giorni per eliminare il sale in eccesso e reidratarlo. Solo dopo questi step si può passare ai fornelli in compagnia di patate, pomodori, capperi, olive nere, aglio, cipolla di Tropea, prezzemolo e olio evo (e lo stocco alla mammolese è servito). Sempre nel reggino, poi, tradizione culinaria e mito si fondono nella caccia al pesce spada che si perpetua lungo la Costa Viola. È chiamato il “maiale di mare” proprio perché non si butta via nulla (si cucinano finanche le pinne) ed è un rito affascinante da ammirare sulla terra ferma: a bordo delle “passerelle” e su un’antenna alta trenta metri, l’avvistatore individua le prede e dà il via ad una caccia unica al mondo perché non ci sono reti, ma solo fiocine e possanza fisica. Il pesce spada, poi, finisce in tavola grigliato, all’acqua pazza o alla bagnarota.
Caviale di Calabria
E se dicessimo caviale di Calabria? È vero, abbiamo dichiarato che il piccante a pranzo e a cena è un po’ un luogo comune ma è comunque parte integrante della nostra gastronomia. Non manca, perciò, nemmeno quando si tratta di pescato. Questo “caviale”, chiamato pure sardella o rosamarina, mette insieme la cucina di pesce con la conservazione dei prodotti, un altro tassello del puzzle identitario.

Si tratta della versione “fish” della ‘nduja, tanto per intenderci, e infatti il matrimonio perfetto è un crostino di pane caldo. In principio era il “bianchetto” (o neonata) ma nel 2006 l’Unione Europea ha vietato la pesca del pesce azzurro inferiore agli 11 cm a tutela dell’ecosistema del mar Mediterraneo e così, per la sardella, da tempo si utilizza il pesce ghiaccio che approda nei vasetti di vetro con peperoncino dolce macinato in polvere, peperoncino piccante macinato grossolanamente e sale. La preparazione originale appartiene a Crucoli (KR) e si è poi diffusa su tutto lo Ionio crotonese e cosentino.
Alici: l’arte di arrangiarsi
C’è un altro tesoro della cucina povera, ossimoro capace di racchiudere tutta la gastronomia locale che, in fondo, è frutto della creatività e della capacità dei nostri avi, pescatori e contadini, di arrangiarsi (e spesso sopravvivere) con ciò che pescavano e raccoglievano: sono le alici, fonte di proteine e grassi sani e quindi alimento essenziale nella dieta delle famiglie in passato. Marinate, ripiene, al limone, in tortiera, le alici sono anche protagoniste del menù di Natale cosentino (pasta con alici e mollica di pane) e fanno il paio con la regina del vibonese, la stroncatura.


Il mondo è bello perché è vario, e la cucina pure: così, nell’era del gourmet, del mainstream alimentare e dei cooking show si assiste ad una continua ricerca e sperimentazione, a volte esasperazione, di ingredienti esotici che possano comporre piatti come tele. Poi c’è l’altra faccia della medaglia, quella che si tiene strette le ricette delle nonne e ha cura delle materie prime locali, delle tradizioni radicate, del mare e della terra. Esiste tesoro più prezioso? No, e non abbiamo nemmeno bisogno di andare sotto a ventimila leghe a cercarlo. Perché da noi, il mare è di casa.
Rachele Grandinetti