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La festa di San Rocco a Palmi, la fede e le spine per il santo più amato

La festa di San Rocco a Palmi, la fede e le spine per il santo più amato

È come parlare dell’acqua, dell’aria, della luce. È l’avvocato nei bisogni, ed è di tutti. Perché non c’è famiglia che non abbia una sua immagine in casa, che non lo veneri cristianamente e pure laicamente. Anche per questo, a Palmi, la festa di San Rocco è il momento più atteso dell’anno, insieme alla Varia, patrimonio immateriale dell’umanità riconosciuta dall’UNESCO, che quest’anno non si è tenuta.

Per il santo della carità cristiana e del volontariato, e pure il più rappresentato nei santini, migliaia di persone arrivano da tutta la Calabria e anche da molto lontano, insieme ai tanti emigrati che tornano per vivere una dimensione religiosa, di affetto, di famiglia che portano sempre nel cuore, ovunque nel mondo.

Il culto per San Rocco qui risale, dicono le fonti, al 1586, quando una visita pastorale attestò l’esistenza di una chiesa e di una confraternita dedicata al santo pellegrino. Nei secoli, la devozione è diventata più grande nei brutti momenti di prova, come nel 1656 durante la peste, o nel 1837 durante il colera, quando la comunità attribuì la fine dell’epidemia a un miracolo del santo e ne portò la statua in processione. È da allora che il 16 agosto è la data consacrata alla festa, e San Rocco è divenuto il secondo patrono della città.

I festeggiamenti iniziano già dal 12 agosto. La bella statua, opera di uno sconosciuto artigiano del Seicento, viene spostata sulla vara processionale, mentre sul pavimento intorno all’altare prendono posto decine di ex voto in cera: figure di bambini, arti modellati, simboli delle grazie ricevute.

Alle prime ore dell’alba la città è svegliata dai primi colpi di mortaio dei botti d’artificio. Uno, due, tre suoni secchi che annunciano l’inizio dei festeggiamenti. Per tutta la mattina e fino al pomeriggio i giganti Mata e Grifone ballano freneticamente, senza sosta, accompagnati dai Tamburinari con grancasse e rullanti. Tra loro, irrompe il cavalluccio: dal suo dorso spunta il busto del portatore, figura metà uomo e metà creatura fantastica, come un mitologico centauro a due zampe. Si muove rapido, volteggia e si insinua tra i due giganti, tentando di strappare Grifone dalle attenzioni verso Mata.

A volte, con impennate e scarti improvvisi, riesce persino a dividerli, piazzandosi di traverso tra i due. Ma alla fine il cavalluccio si arrende e prende il comando della festa, trottando davanti alla coppia che continua a danzare tra la folla. Il gruppo si fa spazio tra le bancarelle colorate davanti alle quali i bambini restano col naso all’insù, a scegliere tra le decine di giocattoli o le profumate caramelle gommose.  Alle 18 in punto, dalla Chiesa di Maria Santissima Immacolata e San Rocco la statua, ornata di fiori e ghirlande, viene sollevata dai ventiquattro mbuttaturi. Il primo passo fa scoppiare i primi applausi, partono i mortaretti e la folla comincia appresso a muoversi compatta.

Il corteo percorre più di sette chilometri e si snoda per oltre quattro ore. Tra i mbuttaturi, il posto sotto le lunghe stanghe di legno è eredità familiare e impegno personale. Il ritmo del cammino è dato e scandito da due timonieri che guidano e riequilibrano il peso. C’è un tappeto di persone, senza soluzione di continuità, che si stringe attorno e nella processione, mentre centinaia di striscioni con la scritta “W San Rocco” appaiono dai balconi.

Accanto alla vara, una lunga doppia fila di uomini scalzi, a torso nudo, è il segno più forte di questa festa: gli Spinati. Indossano la spalas, una cappa conica intrecciata con rami di ginestra selvatica raccolti sul monte Sant’Elia. Le spine penetrano nella pelle, provocando ferite; sotto, stretta al petto, un’immagine del santo. È la catarsi, ma anche l’offerta del sacrificio che vale pure per le donne.  

Loro portano in testa una corona di spine, memoria della Passione di Cristo anche se, da molti anni, indossano anch’esse la spalas.  È un voto che può durare un anno o una vita, rinnovato davanti alla statua prima dell’uscita in processione. Degli spinati colpisce la compostezza, il silenzio, l’espressione fissa dei volti, così come quella dello sguardo. Sono in mezzo alla folla, ma vivono la dimensione profonda della penitenza e della preghiera muta rivolta al Santo.  

Il corteo passa davanti a tutte le chiese, alle sedi istituzionali, ai luoghi simbolo della città. In piazza I Maggio, poi, una benedizione eucaristica è una pausa carica di significato, seguita da uno spettacolo pirotecnico che illumina il cielo. La processione riprende, fino al rientro in chiesa, quando poi per le strade salgono i suoni dei festeggiamenti civili fino a notte.

La festa, a ben ragione, è stata riconosciuta come patrimonio immateriale dall’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia di Roma tra le ricorrenze principali d’Italia.

di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)

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