Le miniere d’argento di Longobucco, il più grande giacimento del Sud

Le miniere d’argento di Longobucco raccontano una delle testimonianze più antiche e avvincenti dell’attività mineraria in Calabria, con una storia che si sviluppa lungo un arco temporale millenario risalente già all’epoca dei Sibariti e dei Crotoniati. Sfruttavano il territorio per estrarre la galena argentifera, e utilizzarla per la coniazione di monete, la realizzazione di calici e altri manufatti in argento, ma l’importanza di Longobucco nell’ambito dell’estrazione mineraria rimase costante nel tempo e numerose popolazioni continuarono a utilizzarne le risorse fino al XVIII secolo.
L’attività mineraria, seppur interrotta e ripresa in più fasi storiche, continuò a essere oggetto di studio e tentativi di rilancio, come accadde nel 1959, quando il Cavaliere Mario Celestino, noto per la sua attività nella tessitura artigianale di Longobucco, avanzò una richiesta a un’azienda milanese per la ripresa dell’estrazione. Tuttavia, nonostante alcuni tentativi, l’impresa si rivelò economicamente insostenibile.


Longobucco è ancora considerata il più grande giacimento argentifero del Sud Italia e, sebbene in Calabria esistano altre località con tracce di miniere d’argento, come l’argentera di Bivongi o alcune zone dell’Aspromonte, nessuna eguaglia l’estensione e l’importanza storica di Longobucco. Il minerale estratto, la galena argentifera, nota in dialetto locale come “galanza”, era composto per il 70% di piombo e per il 30% di argento. La sua lavorazione avveniva attraverso un processo articolato che iniziava con l’estrazione manuale nelle miniere, che poteva avvenire sia in galleria sia con la tecnica dello scavo a cielo aperto. Il Vallone della galanza, sopra il paese, conserva ancora tracce di questa intensa attività estrattiva. Qui si praticava una tecnica particolare, detta “zunfo”, che prevedeva la costruzione di grandi vasche di raccolta dell’acqua, che venivano improvvisamente svuotate per erodere la superficie della roccia e mettere a nudo il minerale.


L’estrazione e la lavorazione dell’argento erano rese particolarmente difficoltose dalle condizioni climatiche poiché l’argentera si trovava a 1500 metri d’altezza, in una zona dove, nei mesi invernali, le montagne erano coperte di ghiaccio, rendendo impossibili le attività minerarie. Per questo motivo, il lavoro di estrazione era limitato a pochi mesi all’anno. Certamente è noto che i minatori interrompevano il lavoro in miniera alla fine di giugno per dedicarsi alle attività agricole, riprendendo l’estrazione dopo l’estate e fino a quando l’accesso al sito era consentito in assenza di neve. L’importanza strategica delle miniere fece sì che nel corso dei secoli si sviluppassero contese territoriali per il loro controllo, ed è infatti probabile che Sibari abbia accresciuto il proprio potere economico grazie alla presenza di questo ricco giacimento, mentre Crotone disponeva solo di affioramenti più modesti, come quelli della zona di Verzino. E chissà, forse il possesso delle miniere potrebbe essere stato uno dei motivi di scontro tra le due città, che si affrontarono in guerre che segnarono profondamente la storia della Magna Grecia.


Le miniere di Longobucco continuarono a restituire argento fino al XVIII secolo, con estrazioni sporadiche proseguite fino al 1900. L’ultimo tentativo documentato risale agli anni ’40 del Novecento, ma la scarsa resa economica ne decretò l’abbandono definitivo. Oggi l’area rappresenta però un importante sito di interesse geologico. Diverse università del Sud Italia organizzano qui campi di studio per approfondire le ricerche sul territorio e delle sue risorse minerarie.


Oltre all’aspetto scientifico, ci sono storie illuminanti sull’attività dei minatori, ma anche la diffusione di tante leggende. Fu proprio Don Peppino De Capua, parroco del paese negli anni ’90 e grande conoscitore della storia locale, del territorio e delle cavità minerarie, che tramandò realtà documentata e quella tradizione orale a cui in particolare sono legate le leggende che parlano di draghi e creature misteriose, una serie di elementi legati al senso di ignoto e invisibile che spesso accompagna il mondo minerario.
Oggi, l’attenzione verso questo patrimonio si concentra sulla valorizzazione culturale e turistica, con lo scopo di rendere fruibili le testimonianze di un passato ricco di storia e di ingegno umano. Sulla valorizzazione del sito c’è ancora molto da fare, soprattutto se si pensa che potrebbe offrire tanto di più se immaginato come un parco minerario, con percorsi segnati, siti musealizzati e nuove opportunità di sviluppo legate alla sua straordinaria storia estrattiva.
L’esperienza di visita alle miniere è comunque possibile, ma solo con guide esperte del Parco Nazionale della Sila e le guide ambientali escursionistiche.
(Da.Ma) info@meravigliedicalabria.it