Rarità magnogreche ritrovate, il tesoro è destinato a Vibo Valentia

Il valore di un reperto archeologico non risiede solo nella sua bellezza, ma in ciò che racconta del luogo da cui proviene. Quando uno scavo clandestino lo sottrae al terreno che lo custodiva, la perdita riguarda prima di tutto la conoscenza. Rimane l’oggetto, ma manca l’origine, manca il quadro che avrebbe permesso di ricostruire una storia intera. I dodici manufatti greci del IV secolo a.C. recuperati tra Venezia e Torino testimoniano questa assenza definitiva. Arriveranno in Calabria, nel Museo archeologico nazionale “Vito Capialbi” di Vibo Valentia, che li accoglierà e li renderà accessibili.
Le indagini avviate nel 2024 dalla Procura della Repubblica di Venezia e condotte dal Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale hanno portato a due perquisizioni. La prima all’interno di un’abitazione privata in un importante palazzo veneziano sottoposto a vincolo monumentale, dove i reperti erano custoditi senza alcuna documentazione che ne giustificasse la presenza. La seconda in un’impresa torinese attiva nel commercio di beni d’arte, anch’essa priva di atti che ne attestassero provenienza e legittimo possesso. I materiali sono stati sequestrati e sottoposti alle verifiche tecniche delle Soprintendenze competenti, che ne hanno confermato l’autenticità. Nel marzo 2025 lo Stato ha ottenuto il dissequestro e la restituzione.

Gli oggetti sembrano appartenere a un contesto funerario di alto rango dell’Italia meridionale. La qualità delle decorazioni, la varietà delle forme e la presenza di elementi caratteristici dei rituali del IV secolo a.C. indicano l’origine aristocratica dei manufatti. Il reperto più imponente è un cratere apulo a volute con mascheroni, alto circa 150 centimetri, tra i più grandi documentati nel suo genere.



È realizzato in ceramica a figure rosse con sovradipinture in bianco e giallo. Sul lato principale presenta tre registri figurati. Nel registro superiore si riconoscono Zeus su trono, affiancato da Ares, Atena, Afrodite ed Eros. Nel registro mediano compaiono due quadrighe in corsa: sul primo carro due figure femminili, identificate come Demetra e Persefone, sul secondo una figura maschile armata interpretata come Ade, in un richiamo diretto al mito del rapimento di Persefone, molto diffuso nella ceramografia apula di età tardo-classica. Nel registro inferiore si alternano figure maschili e femminili insieme ad animali fantastici, tra cui una giovane in sella a un drago.


Gran parte della superficie è occupata da una fitta decorazione vegetale, composta da volute, palmette e tralci che incorniciano le scene figurate. Sulle volute delle anse sono applicati mascheroni femminili modellati a parte, riconducibili alla tipologia della Gorgone, uno degli elementi iconografici più caratteristici della produzione apula del periodo.
Il lato opposto è dominato da un naiskos, un piccolo tempietto funerario in stile ionico, al cui interno compare una scena di offerta al defunto. È un motivo ricorrente nei grandi crateri apuli, che riproducono in ceramica i monumenti funerari in uso nelle necropoli dell’Italia meridionale.

La raccolta comprende inoltre un’ hydria a figure rosse, una coppa da vino a figure nere detta kylix, un’ oinochoe da versamento a figure rosse, simile a una brocca, una lekythos a figure nere, una testina fittile, una statuetta fittile femminile di tipo “tanagrina”, un askòs a forma umana in terracotta e uno in bronzo per versare unguenti profumati, una piccola kore in bronzo, uno specchio in osso con decorazione a sbalzo, un balsamario in vetro verde chiaro.

Il Tavolo tecnico del Ministero della Cultura che si occupa dei beni rientrati allo Stato ha scelto di destinare i reperti al Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia, permettendo di collocarli all’interno di un contesto culturale coerente. Il Museo è uno dei poli più autorevoli per lo studio dei materiali magno-greci e italioti e potrà garantire condizioni adeguate alla loro valorizzazione e conservazione. Ospita un intero piano dedicato alla necropoli di Hipponion, tra cui il corredo della tomba 19, noto per la laminetta aurea con testo orfico del V secolo a.C.. Sedici righe che indicano preziose di istruzioni alla defunta sul comportamento da tenere nell’oltretomba, una delle rare testimonianze epigrafiche del mondo greco.


Il lavoro dei Carabinieri TPC restituisce alla collettività testimonianze trafugate che non dovrebbero mai appartenere a privati. Ma ricorda anche quanto sia fragile il nostro rapporto con il passato. In Italia si vive circondati da antichità, nei musei e nel paesaggio, e questa consuetudine rischia di far dimenticare il valore di ciascun frammento che racconta una storia che non conosciamo ancora del tutto. Quando viene sottratto al suo contesto archeologico non è più possibile ricostruire la posizione originaria, le associazioni tra gli oggetti, la stratigrafia e la relazione con la comunità che lo aveva utilizzato. E ciò che torna nelle mani dello Stato, seppur di assoluto pregio, è solo una parte di ciò che avrebbe potuto dirci della nostra identità.
di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)
Foto copertina The Journal of Cultural Heritage Crime


