Sapori arbëreshe, la scoperta di “Storie a tavola”
Con le sue tradizioni culinarie, la Calabria è una terra capace di raccontare sempre moltissimo. Una delle più intriganti è certamente quella della comunità arbëreshe, che conserva una cultura e una gastronomia davvero uniche. Un viaggio in questi luoghi è un tuffo nei sapori genuini e nella storia, come ha raccontato da Antonio Scuteri nella sua rubrica “Storie a Tavola” per il quotidiano La Repubblica.
Nell’articolo “Viaggio nella Calabria profonda, che parla (e cucina) albanese”, Scuteri è a Civita, una delle porte del Parco del Pollino. Qui scopre una cucina che è l’unione perfetta tra il meglio della Calabria e le influenze della tradizione albanese, e più di tutto dà vita a piatti assolutamente unici. «In quest’area benedetta dalla natura – scrive Scuteri – Civita è anche una capitale del buon cibo. Soprattutto grazie al matrimonio tra i sapori tipici calabresi e le influenze della cultura gastronomica albanese, che danno vita a una cucina che potete mangiare qui, e solo qui. Certo, anche negli altri comuni che di questa tradizione fanno parte, ma questa concentrazione di trattorie, botteghe e ristoranti di qualità non la troverete altrove».
Tra le specialità degustate dal giornalista enogastronomico, ci sono piatti come gli Strangulet, gnocchi di pasta semplici e gustosi, i Rrashkatjël, fusilli al ferretto preparati a mano, e le Tumàce me Mullicatë, tagliatelline condite con baccalà e mollica di pane. Sapori semplici ma intensi, come quelli dei Strangùle me nenezë, cavatelli insaporiti dall’amaranto selvatico del Pollino. La maestria artigianale è evidente anche nei Fillatjel, spaghetti lunghi filati a mano con destrezza e pazienza, in un’arte che si tramanda da sempre.
«Ma è con i “Dromësat” – si legge ancora – che si raggiungono le radici della cultura arbëreshë: grumi setacciati ottenuti dalle gocce di acqua lasciate cadere da un mazzetto di origano sul piano di farina. Se ne ottengono piccole palline irregolari, profumate di erba selvatica che vengono condite con un sugo morbido di pomodoro. Espressione di ingegno nei tempi di povertà, capacità manuale preservata e tramandata ed essenza di cultura contadina. Il fascino della cucina arbëreshe non si ferma però ai piatti principali».
Ci sono poi i piccoli negozi di Civita che, proponendo i loro prodotti locali, completano l’esperienza gastronomica. Taralli fragranti, confetture casalinghe, salumi saporiti e sottoli di altissima qualità sono solo alcuni dei tesori di bottega. Sorprendente è anche la presenza di una crema di sesamo, la tahina, che richiama sapori orientali e dimostra come la cucina arbëreshe abbia assorbito influenze da mondi lontani, rielaborandole con un tocco calabrese.
La tradizione gastronomica qui non è immobile, ma viva e in continua evoluzione. Scuteri racconta infatti di come la cucina di Civita sappia anche innovarsi, pur mantenendo intatta la propria autenticità. Uno dei ristoranti visitati, ha saputo reinterpretare i piatti arbëreshe con un approccio moderno e creativo, dando vita a pietanze che esaltano la tradizione con tecniche contemporanee. «Il risultato… è una straordinaria sintesi in grado di raccontare il territorio in chiave nuova», scrive ancora Scuteri, descrivendo piatti come le tagliatelle al basilico con crema di melanzane e polvere di pomodoro, o l’equilibrio perfetto dei maccheroncini al ferretto con ragù bianco e erbe aromatiche.
La cucina arbëreshe, si è così svelata al gusto, e anche agli occhi, come un’esperienza che parla di essenzialità e ricchezza insieme, e di piatti nobili la cui forza deriva da ingredienti poveri, ma anche dalle pratiche di cucina di generazioni di donne, forse del tutto inconsapevoli che le loro pietanze, un giorno, sarebbero diventate così ricercate.