Sete, sistri e silenzi sonori: a San Floro l’orchestra sinfonica del Mediterraneo

È la musica la lingua comune del Mediterraneo, principio di unità e di unicità, di fusione e contaminazione, e l’orchestra che la suona è in Calabria.
Il suo compositore è l’artista israeliano Yval Avital; il palcoscenico, un lussureggiante uliveto; gli strumenti sono sistri e sonagli provenienti da tutti i paesi di quel mare “vasto e diverso e sempre fisso”: il Mare Nostrum.
Ma l’unico vero esecutore è il vento, lo stesso che ha soffiato in questa terra le rotte del mito e degli eroi.

Siamo a San Floro, un piccolo paese della provincia di Catanzaro, che l’abbraccio dei monti della Sila adagia su un poggio di poco più di 250m per dominare la valle del Corace con gli occhi rivolti al Mar Jonio.



La sua è una storia antica, scandita da reperti che tracciano i segni del Neolitico e della colonizzazione greca da parte della vicina Skylletion, dell’arrivo dei monaci basiliani nel periodo bizantino e del passaggio di feudi, baroni e casali nei secoli successivi. E, immancabile, il miracolo di un santo salvatore, San Floro appunto, che libera dal morbo della peste i cittadini il cui voto, in futurum et in perpetuum, ne rinnova, ogni prima domenica di maggio, dal 1765, la devozione.

Un lungo e intenso passato, impreziosito anche dall’attività che, tra ‘700 e ‘800, rese questo territorio il centro europeo di produzione della seta, oggi rianimata, proprio a San Floro, dalla cooperativa “Il nido di seta”, e raccontata dal Museo della Seta, allestito all’interno del Castello Caracciolo.



In questo contesto, fortemente evocativo, convergono arte, culture e colture, da quando è stato avviato, nel 2017, il primo mulino biologico del Meridione, in pietra e a ruota idraulica, che recupera antichi grani e antiche tradizioni e che ha sottratto il territorio all’istallazione di una grande discarica.


È intorno al Mulinum, infatti, che Avital ha istallato le spighe metalliche con 360 sistri creando “Il giardino dei sonagli”, inaugurato in occasione della festa della trebbiatura nel luglio 2019. Un’opera collettiva con il desiderio di disegnare un luogo di incontro e dialogo di voci e storie dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo: da Gerusalemme alla Spagna, dalla Tunisia alla Francia, dalla Grecia al Marocco.

Un progetto ad altissima valenza culturale, artistica e sociale, frutto di una convergenza di intenti e visioni, che restaura e rinnova il rapporto tra uomo e natura in una sintesi armoniosa che forse solo la Calabria può ancora realizzare.

Muoversi in questo scenario garantisce, infatti, una vera e propria esperienza sensoriale: una sinestesia di profumi e luci, di carezze della brezza e delle sonorità trillate dalle campanelle e dai sonagli, dai campanacci e dai belati delle greggi, dai cinguettii e dai fruscii che il respiro della terra, come nuovo aedo, soffia e confonde in un’unica armoniosa melodia.
La campana palestinese accanto a quella israeliana
«Un’equazione sonora dell’utopia raggiungibile del Mediterraneo», la definisce Avital, e continua: «Mi sono commosso in particolar modo della donazione della campana in ceramica palestinese della famiglia Hamdan, messa accanto alla campana gioiello creata da Sara Shahak da Israele».


Un messaggio di pace di straordinaria attualità lanciato da questo “terzo Paradiso” che ancora una volta fa della Calabria una terra di sincretismi e di civiltà. Una terra che sa e vuole stare nella Storia di oggi, come in quella di ieri, a testa alta. (Maria Cavallo)
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