Skip to main content
Notizie

Storia dell’olivo calabrese divenuto in Puglia simbolo di resilienza

Storia dell’olivo calabrese divenuto in Puglia simbolo di resilienza

Un olivo monumentale che supera i 3.000 anni e con un fusto che misura in altezza più di 10 metri. È il Patriarca, sradicato dalla Piana di Gioia Tauro nel 2005, pare insieme ad altri 49 esemplari, per essere venduto come “non produttivo”, o forse solo perché in quegli anni era stato facile fare commercio di alberi secolari con ricchi acquirenti in alcune regioni del Nord Italia.

Per lungo tempo è rimasto in un vivaio, ormai in dismissione, in Emilia-Romagna. Il rischio era che potesse essere abbattuto, fino a quando un imprenditore oleario di Gravina in Puglia lo ha incrociato. Per Antonio Raguso è stato da quel momento tutto chiaro. Quell’albero, là, non sarebbe vissuto a lungo, ma neanche però se fosse rimasto da qualche parte in Pianura Padana, ché la terra è buona sì, e tutto si può coltivare, ma non un olivo di questa rara natura.

Il pensiero, poi, sempre più convinto, di voler riportare il Patriarca al sud, in Puglia. Oltre che un fatto di puro sentimento, il viaggio del grande albero rappresentava una vera e propria sfida tecnica. Ma, tant’è. Antonio Raguso ha messo in moto un’operazione straordinaria e complessa per garantirne la sopravvivenza, dal trasporto in nave lungo l’Adriatico fino alla nuova piantumazione. E ce l’ha fatta.

Ora quello straordinario monumento è negli spazi esterni del nascente Raguso Lab Experience, il Museo degli Oli che sarà dedicato alla diffusione della cultura dell’olio e all’esaltazione della biodiversità. «L’obiettivo – ha spiegato Ragusoè stato quello di riportare in Puglia, nell’oliveto d’Italia, un simbolo di resilienza, un simbolo che rappresenti un Meridione che resiste alle difficoltà che il mondo dell’olivicoltura e dell’olio sta attraversando. Serve a richiamare l’interesse dei giovani, a richiamare l’attenzione sul rischio di oblio per questa pianta, mentre noi abbiamo rischiato di perdere 3000 anni di patrimonio genetico». «L’età di questo monumento precede quella di Gesù Cristo – aggiunge -. «Ha vissuto la storia, e nelle sue radici si legge la stratificazione naturale di ciò che è accaduto nei millenni. Per questo, più che mai, era necessario salvarlo».

Ora il Patriarca ha trovato casa, si spera per sempre, in un luogo dove la gente potrà andare a visitarlo, abbracciarlo, fotografarlo, perché è patrimonio di tutti. La nuova piantumazione è stata seguita anche dai ragazzi dell’Istituto Agrario di Gravina. Accanto alle radici del Patriarca hanno depositato un contenitore in acciaio – l’hanno chiamato capsula del tempo – all’interno della quale ognuno ha depositato un messaggio, una speranza, una promessa per il futuro dell’ambiente.  Tra 50 anni la capsula sarà recuperata e aperta, e solo allora si scoprirà se veramente il mondo sarà cambiato, e cosa di quelle promesse e speranze si sarà realizzato. Chissà. Sono promesse che pesano se fatte al cospetto di una pianta che come non mai incarna il concetto di resilienza.  Saranno passate sulla sua chioma carestie, guerre, epidemie, e poi resistito alle due migrazioni. Adesso, grazie a un gesto di profonda umanità, tutti contano sulla forza della pianta che dovrà mettere radici in una nuova terra. Aspettano di rivedere i suoi rami tornare crescere e distendersi sotto un altro cielo.  

di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)

Tag correlati
Condividi
Carrello0
Non ci sono prodotti
Continua a fare acquisti
Search
×