Tra abbandono e memoria, a Bovalino il racconto dei borghi calabresi in una mostra fotografica

di Mariateresa Ripolo
Scatti che immortalano una quotidianità che sembra quasi essere stata interrotta all’improvviso. Le crepe sui muri corrosi dal tempo, i mobili usurati, coperte e materassi sui pavimenti, fuori l’erba incolta e le ringhiere arrugginite. All’interno di un’abitazione il numero di una rivista che sigilla la memoria in una data: 1981. Tutti scatti fotografici ambientati nel borgo abbandonato di Ferruzzano che fanno parte della mostra “Disegnare con la luce. Il racconto dei luoghi attraverso l’obiettivo” realizzata dal giovane fotografo Giuseppe Vottari e allestita al Caffè Letterario “Mario La Cava” di Bovalino.

A impreziosire l’evento un dibattito al quale hanno preso parte, oltre all’autore delle foto, anche il professore Pasquale Casile, storico, ricercatore grecista, vicepresidente dell’Associazione culturale “Magna Grecia Pieve Emanuele”, e Pasquale Blefari, assessore alla cultura del comune di Bovalino.


Nelle foto realizzate a Ferruzzano e non solo, il racconto dell’abbandono è centrale. Un tesoro prezioso di immagini catturate e riprodotte il cui il filo conduttore è l’attenzione a quei borghi a lungo trascurati e dimenticati, ma in grado di raccontare una storia e di custodire una memoria che è necessario ricordare e tramandare. Radici profonde che parlano di un’identità di cui è necessario riappropriarsi.


«Questi scatti nascono dalla curiosità e dal piacere di visitare questi paesi abbandonati che comunque hanno sempre qualcosa da raccontare. Nel caso di Ferruzzano è stata una piacevole scoperta, mi sono trovato praticamente a toccare con mano la storia di chi ci viveva. Entrando all’interno delle case ho potuto capire tante cose delle famiglie che abitavano il borgo», ha spiegato Giuseppe Vottari, che ha realizzato numerosi scatti anche in posti come Roghudi, Careri, San Luca.

Tra i borghi che nella Locride sono riusciti a rinascere attraverso la propria storia e la propria identità c’è quello di Sant’Agata del Bianco, terra natia dello scrittore Saverio Strati. «Giuseppe Vottari ci conferma che saper guardare i luoghi, andare fisicamente sul posto, è una prima forma di opposizione alla distruzione e alla noncuranza, poiché, troppo spesso, non siamo consapevoli dello spazio che abitiamo e di come lo abitiamo. E allora “saper guardare” può aiutarci a riappropriarci di una via, di una casa o di una storia»: ha detto attraverso un messaggio il sindaco Domenico Stranieri, tra i relatori, ma che non ha potuto prendere parte all’evento.




«Giuseppe con queste foto – ha spiegato l’assessore Blefari – ci ha fatto un regalo: ci ha permesso di parlare del loro lato artistico, ma ci ha permesso anche di parlare del recupero dei borghi e soprattutto del recupero dell’identità e della memoria. Dobbiamo puntare su questo, che può anche essere una forma di sviluppo economico e turistico, ma deve essere un nostro obbligo morale e culturale, quello di recuperare i luoghi, di recuperare le memorie e di portare avanti queste nuove generazioni di artisti e di studiosi».


Foto [dal greco greco ϕωτο-, derivazione di ϕῶς ϕωτός «luce». Grafìa [dal greco -γραϕία, derivazione di γράϕω «scrivere, disegnare»]. Nasce così il titolo della mostra.


Profonda la riflessione sul concetto di “luce” proposta dal professore Casile, che ha messo in risalto l’importanza della memoria attraverso la lingua, un concetto che si lega indissolubilmente a quello di identità e coraggio: «La memoria per noi è la memoria viva del linguaggio greco calabro. Le parole sono voci che ci rimandano alla nostra storia e quindi a queste immagini, la parte invisibile diventa visibile quando noi scriviamo in greco. Pensiamo al verbo “thárreo”, che significa “credere”, ma significa “avere coraggio”. Dentro questo verbo greco calabro c’è il thárros, c’è il coraggio. C’è quella verità che si impone attraverso la forza delle azioni, è forte l’orgoglio che noi abbiamo per la nostra cultura e la nostra lingua».
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