Cibo e memoria, a tavola i riti calabresi dei giorni di Ognissanti

Se è vero che il cibo è memoria, in Calabria lo è ancora di più nei giorni di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti. Non sono giorni di grandi tavolate o di eccessi, tutt’altro. Pochi piatti, e per di più semplici, mettono intorno al desco la famiglia. Uno su tutti, in particolare: le lagane e ceci. È un cibo preparato con ingredienti poveri, ma che in questo periodo si cucina in abbondanza perché, secondo un’antica consuetudine, va condiviso con i vicini o con chiunque bussi alla porta. Qualcosa che racconta una visione del mondo, dove nutrire l’altro equivale a ricordare chi non c’è più.
Le origini di questa usanza risalgono a tempi molto lontani. Già nel mondo greco-romano, durante le feste dedicate ai morti, si offrivano pentole di legumi e cereali alle anime dei defunti, alimenti che simboleggiavano il ciclo vita-morte-rinascita. In Calabria, dove la cultura contadina ha sempre custodito un rapporto stretto con la terra e le stagioni, questi elementi non mancheranno mai. Le lagane, larghe sfoglie di pasta di semola e acqua, rustiche e ruvide al punto giusto, si amalgamano con i ceci e assorbono il condimento profumato di aglio, alloro e olio buono.


Prepararle nel giorno dei morti è come ripetere quel rito comunitario in cui la pietanza veniva distribuita al vicinato o ai poveri, considerati i “vicari” dei defunti, mantenendo una catena di reciprocità che, come spiegava l’antropologo francese Marcel Mauss, si fondava sul dare, ricevere e ricambiare.
Il valore del gesto supera quindi la dimensione gastronomica, come ricordava anche l’etnologo calabrese Ottavio Cavalcanti, per il quale la tavola è il luogo dove si annullano le distanze e dove la morte perde, per un istante, il suo carattere definitivo.


Accanto al piatto salato ritornano i dolci della festa, che parlano lo stesso linguaggio. Le ossa dei morti, biscotti di mandorle profumati di cannella e chiodi di garofano, ricordano la fragilità del tempo e la forza del ricordo. E poi la frutta martorana, che riprende la forma colorata dei frutti veri: un’usanza antica, ancora presente nella cultura bizantina e ortodossa calabrese, quando si offrono dolci e frutta per i vivi e per i morti.
Nella memoria si continua a vivere, purché qualcuno seguiti, anche attraverso il cibo, a ricordare.
di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)


