Il rito delle “Varette” di Amantea ed i suoi canti antichi

Se doveste chiedere ad un nativo di Amantea qual è il giorno o il momento dell’anno in cui è più vivo che mai il senso di appartenenza al proprio paese… siamo certi che direbbe immediatamente: «Il Venerdì Santo», “u Venneru Santu”, giorno della Passione di Cristo.


Quella mattina “l’aere” è pervaso da una strana calma, c’è silenzio, non si sentono macchine in giro, tutti sanno che sta per cominciare la processione storica delle Varette (barelle, sono nove le statue ad essere trasportate). A un certo punto, nel centro storico, si fanno spazio tra la folla i primi gruppi di portantini, alcuni canti molto ritmati rompono il silenzio, la banda musicale esordisce con note gravi e si mette a seguire il corteo del Cristo Morto.


Ciascuna statua ha un suo gruppo di affezionati seguaci, magari sono gruppi di amici che puntualmente da trent’anni e più si ritrovano dietro quella statua preferita. Una volta non era proprio così. C’era, nel secolo scorso, una più accentuata divisione per classi d’età – come è stato scritto da vari autori e storici. Gli adolescenti e in generale i giovani stavano tra le prime statue, mentre le persone più adulte sentivano la responsabilità di seguire le statue di più alto contenuto drammatico, come quelle del Gesù Crocefisso e di Gesù Morto. L’Addolorata è sempre stata una statua “riservata” alle donne, che condividono quel dolore di madre cui viene sottratto il figlio.
I canti antichi


Ma cosa cantano, i devoti, cosa intonano ripetutamente in quasi quattro ore di faticoso trasporto?
In prima, terza, quarta e quinta “varetta” abbiamo lo stesso canto: si esegue Gesù mio, con dure funi (titolo-incipit), ma più che un’esecuzione, fatta con una certa compostezza, quei dodici versi spesso vengono esibiti in maniera quasi giocosa.

Sono interrogazioni retoriche, il devoto si chiede per esempio «Gesù mio/le mani e i piedi/chi alla croce/te l’inchiodò?», e la risposta è un’autoaccusa: «Sono stato/io l’ingrato/Gesù mio/perdon pietà». Il testo è, secondo la tradizione, preso dal repertorio di sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
Nella seconda “varetta” si percepisce già una complessità di esecuzione che poi ritroveremo nelle statue finali. Qui si canta O popolo mmi deu (titolo-incipit, sei strofe, autore non pervenuto), che da moltissimi anni viene interpretata da un ristretto gruppo di devoti.

San Giovanni, il discepolo prediletto di Gesù, ha un canto riservato: O discepolo più caro. È un inno dal ritmo che “prende” facilmente (titolo-incipit, sette strofe, autore anche qui non pervenuto). Qua rientriamo nel discorso della ludicità della cantata. La singola strofa prevede tre versi più un ritornello orecchiabile: «Prega tu/che avesse Dio/di noi miseri pietà» (due volte di fila).

Gesù Cristo Crocifisso “sente” dietro di sé il Miserere, salmo penitenziale della liturgia cattolica. Protagonisti sono timbri maschili, bassi e baritoni; un tempo (un secolo fa, probabilmente) si poteva apprezzare voce solista, seconde voci e cori, organizzazione che oggi è molto difficile veder attuata. Di questo canto, che in passato si provava nelle cantine, vengono intonate le strofe più espressive e musicali.
Dietro al Cristo morto, abbiam detto, è posizionata una delle bande musicali del paese (a rotazione) la quale suona marce funebri tra cui brani dei maestri locali Mario Aloe e Domenico Fiorillo.


L’Addolorata, infine, è preceduta da un gruppetto maschile di “cantores” che interpreta con passione alcune strofe dello Stabat Mater (anche qui si scelgono le più musicali e anche qui l’espressione latina viene resa a proprio piacimento), assegnato dalla tradizione a fra’ Jacopone da Todi. L’enfasi canora degli uomini davanti a Maria è controbilanciata da una “fiumara” di voci femminili che scorre dietro alla “varetta”. Le donne sono custodi di almeno otto canti popolari, in dialetto, di cui segnaliamo per ognuno il titolo-incipit: «Oj’è llu Vennaru Santu; Visitamu la ‘Ndulerata; Jesu, Madonna chi cori facisti; Quannu Cristu fu misu ‘n crùcia; ‘A Madonna ppe’ mari jive; E considera a lla rivoglia; Gesù Cristu ca si’ alla cruci; ‘U rilogio». (Antonello Zaccaria, guida turistica Core Calabro)
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