Il villaggio rupestre di San Nicola e Santo Ponte a Santa Severina

Santa Severina è spesso definita la “nave di pietra”, per la sua posizione che sembra solcare il cielo e dominare la valle del Neto. Ma oltre al borgo medievale, al castello imponente e al battistero bizantino, c’è un luogo meno conosciuto eppure straordinario: il villaggio rupestre di San Nicola e Santo Ponte.
È un mondo scolpito nella roccia, dove la natura e l’uomo hanno dialogato per secoli, lasciando tracce che ancora oggi parlano di fede, di fatica e di speranza.

Le grotte abitate: vita semplice e profonda
Camminando tra le cavità di tufo, si entra in un paesaggio che sembra provenire da un tempo remoto. Le grotte, scavate con pazienza, non erano solo rifugi improvvisati: erano case in cui si consumava la quotidianità. Si immaginano fuochi che illuminavano i volti, stoviglie rudimentali, animali che dividevano gli spazi con le famiglie.
In quei silenzi, si avverte quasi il suono di voci lontane, di passi che risuonano sul terreno battuto. La pietra stessa sembra trattenere la memoria di chi vi ha vissuto, come se custodisse il calore umano che l’ha abitata.


Le chiese ipogee: spiritualità scolpita nel buio
Il cuore più affascinante del villaggio è nelle sue chiese rupestri. Basta varcare la soglia di una cavità per percepire un’atmosfera diversa: la penombra avvolge, la luce filtra appena da piccoli spiragli, trasformando lo spazio in un luogo sospeso tra terra e cielo.
Le croci incise, i segni bizantini, i resti di affreschi ormai sbiaditi parlano di una fede vissuta con intensità. Qui non servivano ornamenti, bastava la roccia a diventare altare. In quell’essenzialità si respira ancora oggi una spiritualità autentica, che invita a raccogliersi e a restare in ascolto.
Leggende tra fede e mistero
Intorno a San Nicola e Santo Ponte si intrecciano racconti e suggestioni. Si narra di monaci che scelsero l’ascesi tra queste pietre, vivendo di preghiera e silenzio. Di pellegrini che arrivavano in cerca di guarigioni e conforto, lasciando segni del loro passaggio. Di simboli enigmatici che richiamerebbero il numero infinito e l’eternità.
Sono storie che mescolano realtà e immaginazione, ma che rendono ancora più affascinante la visita. Perché anche chi non crede alle leggende, davanti a quelle grotte sente che qualcosa resta sospeso, come un mistero che non si lascia spiegare.


Camminare nella storia
Visitare il villaggio rupestre significa intraprendere un viaggio che non è solo fisico, ma interiore. Ogni grotta è un varco nel tempo, ogni incisione un frammento di vita. Non si tratta di ammirare solo un sito archeologico, ma di ascoltare un racconto silenzioso che parla di resilienza, di fede, di un rapporto con la natura molto diverso dal nostro.
Uscendo dalle cavità, quando lo sguardo torna ad aprirsi sulla valle, ci si accorge di portare con sé una nuova consapevolezza: che la vita può essere intensa anche nella semplicità, che il silenzio può insegnare più delle parole.
Una Calabria da riscoprire
Il villaggio rupestre di San Nicola e Santo Ponte è un tassello prezioso della memoria calabrese, eppure ancora poco conosciuto. Forse perché non si impone con clamore, non è fatto per i turisti frettolosi. È un luogo che richiede rispetto, che invita a rallentare e a lasciarsi attraversare dalle emozioni. Santa Severina, già splendida per il suo borgo e i suoi monumenti, custodisce qui un’altra anima: più nascosta, più fragile, ma capace di toccare profondamente chi vi si avvicina. Chi sceglie di visitarlo scoprirà non solo un sito rupestre, ma un’esperienza di bellezza interiore, una lezione silenziosa che la pietra consegna a chi sa fermarsi ad ascoltare.
Memoria popolare
Un tempo, tra gli abitanti di Santa Severina, circolava un racconto suggestivo: si diceva che da bambini ci si avventurasse tra le grotte con un misto di timore e fascino, e che al calar del sole nessuno osasse restare troppo vicino perché “le pietre respiravano ancora”.
Un’espressione popolare che, più che spaventare, sottolineava l’aura di mistero che avvolgeva il villaggio rupestre, percepito come un luogo vivo, capace di custodire non solo la storia ma anche le emozioni delle generazioni passate.
di Rosa Oliverio (info@meravigliedicalabria.it)
In copertina: MC Escher, Santa Severina, litografia, febbraio 1931