La ginestra, il tessuto sostenibile del futuro

L’argomento, e la tradizione artigianale, di cui ci occupiamo ha qualcosa di mitico, di magico ed incredibile; è il prodotto di una serie di fattori tutti contemporaneamente presenti in una terra, la Calabria, che sembra divertirsi nell’affascinare e stupire quanti scelgono di conoscerla. Tre sono i fattori di cui parliamo. Il primo è una gloriosa storia passata, sulle rive della regione giunsero i Greci per fondare delle colonie e questa terra divenne Magna; la loro non fu una conquista ma più propriamente un dono. Il secondo è la condizione di estrema povertà che accompagnò per secoli le genti di Calabria e che costrinse le persone a tratte dal pochissimo che avevano tutto il necessario. Il terzo fattore è rappresentato dalla incredibile ricchezza di clima e territorio che qui consentono alla terra di offrire, spontaneamente, frutti prelibati e piante di incredibile preziosità. La storia che raccontiamo oggi riguarda la Ginestra, è una pianta che colora di giallo la regione, nasce spontaneamente, emana profumi intensi ed ha qualità che ne consentono la lavorazione; della ginestra ne esistono diversi tipi, ne menzioniamo solo due, la varietà calabra – che ne ingloba diverse ed è tipica della macchia mediterranea – ed un’altra che è invece selvatica e pungente, meno alta ed impropriamente usata, ad esempio, per abbellire (sic!) scarpate autostradali, spartitraffico o rotatorie.

Noi qui parliamo, ovviamente, della varietà calabra che per secoli, soprattutto in alcune zone, ha rappresentato la materia prima per la tessitura in una regione nota per la qualità della sua seta. E’ una tessitura povera e meno nobile rispetto a quella che dalla Calabria faceva scuola e suscitava stupore in tutta Europa, più povera ma ugualmente preziosa. La lavorazione tessile della ginestra è fatta risalire ai Greci che la scoprirono e ne apprezzarono la resistenza all’acqua usandola per realizzare tessuti e corde da navigazione; e non sarà un caso se l’attività artigianale di cui parliamo resiste proprio nel territorio della Calabria dove sorse, tra l’VIII ed il VII secolo a.C., Locri Epizefiri. Nella Locride i fiori della ginestra colorano di un giallo dorato le pendici delle colline e qui con paziente questa pianta veniva, ed in minima parte ancora viene, trasformata il tessuto con il quale dar vita a coperte, corde, “vertule” e abiti; a sorprendere sono proprio le coperte che cambiano di tonalità la murare delle stagioni.

La jinestrara, questo il nome dialettale, non era semplice da lavorare, l’inizio è rappresentato dalla scelta e dal taglio dei rami uniti poi in piccoli fasci messi a bollire in un contenitore; successivamente gli stessi rami erano affidati al “trattamento” della natura e dell’acqua, erano infatti immersi nelle fiumare con l’acqua corrente che separava le fibre dalla corteccia e dai tessuti interni, in buona sostanza si assisteva ad una sorta di disfacimento.
Dai rami disfatti veniva eliminata la corteccia e poi ancora in acqua e “pestati” con un bastone; alla fine il risultato era la fibra destinata alla pettinatura, alla cardatura, alla filatura; i fili ottenuti erano utilizzati in ragione dei prodotti che si volevano ottenere, quelli più sottili per le lenzuola ad esempio, quelli più spessi per le coperte ed altro. Anche la coloratura era esercizio artigianale fondato sulla natura con l’utilizzo di erbe, frutti o piante, ad esempio il giallo paglierino era ottenuto dalla corteccia di melograno, il verde scuro dalle foglie d’ulivo. Quanto ai disegni è chiara, come quasi sempre in Calabria, la presenza e la memoria bizantina, tra i più significativi: il mattunarico, una croce con dentro una forma quadrangolare, il rosato, quattro petali di rosa racchiusi in un rombo.
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