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Patata della Sila IGP: un tesoro sottoterra

Patata della Sila IGP: un tesoro sottoterra

“Ti ho portato le patate della Sila” è sempre stato un regalo bellissimo: un sacchetto retato che restava nell’angolo dell’ingresso da dividere tra noi e mia nonna. La Sila è profumo di faggi e di pini (ciao Arbre Magique!) e di aria pulita, la più pulita d’Europa (lo sapevi?). Come spiegarlo? Immagina di respirare un cielo terso. Per me la Sila è infanzia e famiglia, è cose belle da vedere, cose buone da mangiare.

Se dico patate della Sila a cosa pensi? Chi ricorda il camioncino che passava per le strade e al megafono, in stile arrotino, gridava: “Patate da’ Sila, patate da’ Sila”?


Un mondo più che un semplice contorno da fare al forno. Cresce sottoterra ed è proprio laggiù che avviene la magia: al riparo da tutti, in silenzio, una semplice patata si fa ambasciatrice di un territorio. Pietro Tarasi, presidente del Consorzio di Tutela della patata della Sila IGP, mi ha raccontato la storia di un prodotto che, in fondo, è storia di un popolo; perché oggi se parli di “patata della Sila” da Bolzano a Palermo, indistintamente tutti sanno di cosa si tratta. Anzi, solo a nominarla, la mente viaggia verso padelle che friccicano olio e peperoni che aspettano buona compagnia.

L’ascesa e il marchio IGP

Un tempo non era così. Fino agli anni Cinquanta la produzione era per uso personale perché in Sila la patata si coltiva da sempre ma lo sapevano in pochi. È qui che scende in campo il Consorzio dei produttori nato nel 2003 (oggi presieduto da Fiore Gualtieri con la direzione di Albino Carli) per iniziare un nuovo racconto e rendere la distribuzione più consistente sul territorio. I risultati non tardano ad arrivare, perché la qualità, alla fine, vince sempre. È così che si dà il via al riconoscimento del marchio IGP che arriverà nel 2010. Un’ascesa da terra (anzi: da sotto terra) alle vette dei principali mercati.

Un territorio unico

Insomma, ci sono le patate e poi ci sono le patate della Sila IGP. E non è proprio la stessa cosa: «Si deve considerare – dice Tarasi – un insieme di fattori: innanzitutto la coltivazione. Le nostre vengono coltivate tra le province di Cosenza e Catanzaro ad un’altitudine compresa tra i mille e i milletrecento metri: vuol dire aria pura che, ad alta quota, gode della brezza dei due mari che l’abbracciano, Jonio e Tirreno. Il territorio circostante, inoltre, è antropizzato solo in minima parte (pochissima transumanza), non ci sono industrie e pure l’acqua lungo il suo percorso non ha grandi presenze antropiche. Le escursioni termiche tra il giorno e la notte sono un ulteriore contributo al carattere organolettico. E poi il ciclo produttivo che regala tantissima luce perché si semina a maggio e si raccoglie in autunno». Un lavoro di squadra, quindi, che mette in campo una sola strategia: la biodiversità.

La patata della Sila IGP la riconosci dal marchio, ça va sans dire, dal colore della buccia, della polpa e dalla forma. Perché della nostra eroina silana esistono sei varietà: Agria, Désirée, Ditta, Majestic, Marabel e Nicola (che sono proprio i nomi che ti aspetti da chi nasce vicino Bocchigliero!). Ditta e Majestic stanno uscendo dalla produzione, ma niente paura: è già al vaglio del Ministero una proposta di disciplinare che apra le porte a nuovi ingressi per ampliare il ventaglio. La grande protagonista, invece, è l’Agria: non troppo facile da produrre ma è quella che regala grandi soddisfazioni. Complici la sapidità, la consistenza e la capacità di conservazione, oltre alle sue attitudini culinarie: l’Agria è buona fritta e bollita e la morte sua sono gli gnocchi.

Aziende virtuose

Stiamo parlando di tradizione contadina e quindi di prodotti che un tempo si coltivavano per riempire le dispense. Il plus delle patate, infatti, è anche il tempo di conservazione: fino a dieci mesi, a patto che riposino al buio e in un ambiente fresco e areato altrimenti vanno in asfissìa e germogliano.

Stiamo parlando anche di un prodotto che, oltre a raccontare un popolo e un territorio, si fa pure stendardo di sostenibilità ambientale e del lavoro, perché lavorare la terra nel segno IGP è rendere le aziende in Sila virtuose, capaci di intervenire solo se strettamente necessario. Altrimenti, in condizioni pedoclimatiche favorevoli, il motto resta: come natura crea. 

Oggi sono in tanti a prendersene cura, perché dobbiamo pensare ai consorzi come una grande famiglia. Quello dei produttori rappresenta i genitori: seminano, lasciano crescere, creano intorno un ambiente accogliente, intervengono se capiscono che da solo non ce la fai. Il consorzio di tutela, invece, sono i nonni: un amore sconfinato che si preoccupa – dalla semina allo scaffale – di come stai e come ti trattano. Altrimenti ci pensano loro.

In ogni momento, comunque, ci pensa la Sila: quattro lettere, infinite meraviglie che svettano fino a toccare le nuvole o germogliano sottoterra, un patrimonio a cielo aperto da scoprire, respirare e degustare. D’altronde, qui puoi mangiare patate un giorno sì e l’altro… purè!

di Rachele Grandinetti

info@meravigliedicalabria.it

FONTE DELLE FOTO: “Zefiro”

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