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Statti, un’impresa da favola

Statti, un’impresa da favola

Incantato. E pure a bocca aperta. È così che resti quando visiti l’azienda. A scuola di enologia calabrese, alla “s” Statti risponde e racconta un territorio, una storia e un modo di vivere la produzione che sa più di favole che di marketing. Ecco, Statti è proprio questo: una favola imprenditoriale. Siamo a Lamezia Terme, nell’istmo di Catanzaro, il punto più stretto della nostra regione (e d’Italia), lì dove le vigne godono non solo del venticello tipico della zona ma pure della brezza dei due mari: Ionio e Tirreno sono ad un tiro di schioppo. Una visita in cantina è sempre un’emozione perché quando conosci i produttori finisci per amare e comprendere di più pure i loro vini. Ma qui c’è altro perché ti guardi intorno e pensi: “Ma che posto è?”. E soprattutto: “Ma perché non sono mai venuta prima?”. Nella lista delle cose da fare in Calabria, quindi, aggiungi una riga.

Ogni generazione un contributo

Anche se vedi l’insegna, il navigatore continuerà a dirti “prosegui per un chilometro” perché il cancello d’ingresso è solo l’inizio di una lunga passeggiata costeggiata da alberi di ulivo. Una volta arrivato avrai bisogno di una guida perché su 500 ettari (di cui 100 vitati) i giardini s’intrecciano e finiscono su terrazze che danno sulle vigne; e poi lo showroom, le stanze per la degustazione, le sale ricevimento, i cortili dove raccogliere limoni, la fattoria e gli impianti di energia pulita: da dove iniziare? Dal principio: Statti 1784”, perché è questa la data di fondazione dell’azienda agricola. In realtà, storicamente, la famiglia arriva qui nel ‘400 e risiede nelle terre che aveva ricevuto in dono dal principe del tempo. «Ogni generazione ha dato qualcosa – dice Antonio Statti, al timone dell’azienda insieme al fratello Alberto e con a bordo le sorelle Giulia e Josella -, un contributo, un input e un’innovazione. Tutto quello che si vede oggi, esclusa la parte energetica, c’è sempre stato. Il progetto di riqualificazione è iniziato con noi negli anni Novanta ma gli Statti hanno l’agricoltura nel DNA».

Economia circolare e sostenibile

Qui gli uliveti, infatti, hanno oltre 300 anni: se potessero parlare, ci racconterebbero che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si viveva come in un villaggio. Circa dieci famiglie, una chiesa e una scuola: un microcosmo completamente autosufficiente e felice. Basti pensare che il cantiniere che oggi muove le fila tra silos e pigiadiraspatrici è nato qui! E l’atmosfera, mi sa, che non è mai cambiata perché ti aggiri per l’azienda e sembra che siano tutti di famiglia, non ci sono un capo e un dipendente: c’è sinergia e voglia di fare cose belle. E buone. Statti produce vino, olio, conferisce agrumi e latte, tanto per dirne qualcuna. Soprattutto, produce secondo le regole dell’economia circolare, green e sostenibile. Vuol dire che non si butta via niente, anzi: tutto torna. Così vinacce, sansa e liquame delle stalle vengono immessi negli impianti a biogas per produrre energia pulita (un megawatt l’ora). Sono macchine che lavorano no stop h24 e 365 giorni all’anno, offrendo anche un servizio alle aziende limitrofe: quelle dell’olio, ad esempio, che in tal modo hanno la possibilità di smaltire la sansa. E poi il sistema di fitodepurazione per il recupero delle acque in lavorazione (in dieci anni sono stati riutilizzati circa 300 mila metri cubi di acqua) e i pannelli fotovoltaici che soddisfano il fabbisogno termico dell’azienda. Insomma, un giro a bordo della gip con Nicola Colombo, l’enologo, è un tour in un piccolo mondo che ti porta su un altro pianeta. Perché quando arrivi in vigna ti sembra di essere atterrato su Marte, tanto è rossa la terra. «È il ferro», spiega Nicola, che dà colore ad un terreno tendenzialmente sabbioso dove trovano grande espressione i nostri autoctoni. Con lui, su per le vigne e giù in barricaia, un posto che più instagrammabile non si può: un lungo corridoio con lucine sistemate ad hoc e piccole nicchie che sfilano sui lati, dove i vini affinano in botte e i futuri spumanti riposano sulle pupitre e sui lieviti.

L’ancora nel passato, lo sguardo al futuro

Tipicità, territorio, ricerca e sperimentazione sono i punti cardinali dell’azienda. C’è un’àncora ben salda nel passato ma lo sguardo è sempre rivolto al futuro. Infatti se chiedi ad Antonio Statti qual è il suo vino preferito ti risponderà: «Quello che devo ancora produrre». Idee in circolo e strada da fare, oltre a quella percorsa, nel vero senso della parola. Perché Antonio mi racconta di quando saltava in macchina con il cofano pieno di bottiglie da portare in giro per l’Europa: «Ci siamo fatti conoscere così, grazie alla gavetta. Si partiva la domenica per rientrare il lunedì successivo. In auto avevo lo spazio per 36 campionature: in ogni cartone sei tipologie di vino a rappresentare l’azienda. Quando vedevo 10-12 campionature tiravo un sospiro di sollievo perché il più era fatto!». Ogni viaggio inizia sempre con un piccolo passo e oggi Statti ne ha fatti da gigante conquistando non solo i mercati europei ma pure Stati Uniti, Giappone e Canada con una produzione di 600mila bottiglie.

Ogni etichetta è un giro a bordo di quella gip per vigne a respirare i due mari e la terra rossa. Ogni etichetta è il racconto di una famiglia che qui ha profonde radici. Statti, in fondo, è un po’ come la pianta della vite e dalla terra dove vive prende il nutrimento. Perché la Calabria, alla fine, dà sempre buoni frutti. Anche da bere.

Di Rachele Grandinetti

info@meravigliedicalabria.it

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