Tempo di vigilia e di riti inossidabili, cuddrurìaddri zippuli e crispedd’

È la vigilia dell’Immacolata, e in Calabria le festività, come ovunque del resto, si aprono con cerimonie religiose, alberi addobbati, presepi e luminarie. Qui, però, si aprono soprattutto attraverso il rito del cibo, quello che profuma di tradizione e mette tutti d’accordo. Nelle cucine ci si prepara a un cenone che è quasi come quello di Natale. I più integralisti non rinunciano alle fatiche della tavola (e della digestione, poi), ma da qualche anno, al cenone classico, si preferisce una serata di grandi fritture (che sempre fatica è). Questo è il momento in cui nelle cucine si predispongono gli ingredienti per un must della tradizione calabrese, quella che in italiano chiameremmo normalmente ciambella fritta (troppo semplice, non esiste una traduzione che renda veramente l’idea dei fritti nostrani), mentre, a seconda delle zone – dal Pollino fino a Reggio Calabria – assume nomi, ingredienti e modalità di preparazione diversi. Cudduredde o grispelle a Catanzaro, crispedde, crispedd’ a Crotone, cururìcchi o zeppole a Vibo Valentia, zippuli a Reggio Calabria, cullurìalli nella Presila, cuddrurìaddri e vecchiareddre (ma questa è un’altra storia) a Cosenza. Una filastrocca, o uno scioglilingua niente male. Ma attenzione alla pronuncia, specialmente di cuddrurìaddri, croce di tanti “stranieri” che vengono sottoposti dai cosentini, veri esperti in materia, ad un esame di lingua locale. Se può essere utile, e si mastica un po’ l’inglese, la “ddr” di cuddrurìaddri va pronunciata come dream (I have a dream, ricordate?).


Gli ingredienti, dicevamo. Sicuramente farina, acqua, sale e lievito di birra per crispedde e zippuli che, oltre ad essere gustate salate, si possono mangiare anche nella versione dolce ripassandoli ancora caldi nello zucchero, o lucidandoli con un filo di miele profumato. Per cururìcchie cuddrurìaddri gli ingredienti restano quelli, ma ce n’è uno in più che è fondamentale, e cioè le patate lessate, che siano di assoluta qualità.
Inutile addentrarsi tra le infinite possibilità di peso in grammi, di q.b. o “quanto se ne prende”, oppure del “a sentimento”. Ognuno ha la sua ricetta, più o meno segreta, che ricorda a memoria o che legge da un vecchio ricettario scritto a mano, eredità di nonna, magari con le pagine segnate da una ditata di farina o una traccia di crema pasticcera. L’importante è che l’impasto lieviti per bene e che, al momento di friggere, l’olio non sfrigoli troppo, altrimenti l’impasto si brucia fuori e resta crudo dentro.


Con la stessa pasta, ma da friggere in ultimo, si preparano le vecchiareddre. Non hanno la forma col buco, ma hanno foggia allungata, o vagamente sferica. All’interno un filetto di alici, sott’olio o dissalate, a piacere. Quando non si riesce a venire a capo dell’origine di un nome, come per le vecchiareddre appunto, si finisce per inventarsela una ragione. Il fatto è che dopo la loro cottura, il risultato è quello di un fritto dalla forma irregolare, anche un po’ bitorzoluta, e qualcuno lo associa al volto di una vecchia (ma che evidentemente doveva essere proprio come la strega di Biancaneve, o come certe raffigurazioni della Befana). Alici come ripieno per quelle tradizionali, ma bisogna sapere che, nella pancia della vecchiareddra, trova posto di tutto: dalla ‘nduja alla rosamarina, dal caciocavallo silano alle rape e salsiccia. La verità è che, qualsiasi ripieno si scelga, il risultato sempre e comunque godurioso resta. E poi ci sono i contorni di verdure, i salumi stagionati, e deliziosi formaggi da addentare insieme ai fritti, e da accompagnare con un bel vino rosso e corposo.


In tutte le loro forme, crespelle, cuddruriaddi e zippule hanno trovato anche un’identità moderna, calati come poker d’assi caldi e dorati sui tavolini dei locali all’aperto, tra i bicchieri di spritz per fare aperitivo di auguri con gli amici. Rappresentano la festa, ma per fortuna un vassoio riempito, coperto con cura e inviato caldo a chi quel giorno non può esserci, diventa anche simbolo di amicizia e solidarietà.
A pensarci bene, forse non è una ricetta, un ingrediente in più o in meno, e neanche il gusto a rendere speciale questi fritti. È il fatto che portano con sé un pezzo di chi li prepara: una ricetta tramandata, un ricordo condiviso, un gesto fatto per qualcun altro. Ecco perché, che sia sulla tavola di casa o in un aperitivo tra amici, una zeppola calda, o chiamiamola come ci pare, è un messaggio che dice “io ci sono, per te”, uno dei modi con cui la Calabria sa sempre parlare.
di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)