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Ferramonti, a Milano una mostra ne racconta la storia parallela

Ferramonti, a Milano una mostra ne racconta la storia parallela

Nel maggio del 1940, il regime fascista istituì il campo di internamento di Ferramonti di Tarsia su un terreno paludoso nella valle del Crati, in provincia di Cosenza. Questo luogo, scelto per il suo isolamento geografico e per le difficili condizioni ambientali, fu destinato a ospitare ebrei stranieri e apolidi considerati “non graditi” secondo le leggi razziali del 1938. Sebbene inizialmente progettato per accogliere poche centinaia di persone, il campo superò i 3.000 internati.

La struttura, costituita da 92 baracche di legno dipinte di bianco e disposte in file regolari, aveva spazi essenziali ma organizzati, con aree comuni come cucine, laboratori e una sinagoga, che testimoniano l’intento di mantenere una parvenza di normalità anche in un contesto di privazione in cui uomini, donne e bambini erano costretti. Provenivano da diversi paesi, tra cui Austria, Germania, Polonia, Jugoslavia, Grecia, Francia, oltre a gruppi di Rom e persino un piccolo gruppo di cinesi. Molti di loro erano medici, musicisti, artisti e studiosi e portarono a Ferramonti una ricchezza culturale e linguistica che, pur inizialmente tra difficoltà organizzative, divenne ben presto una risorsa.

Nonostante le condizioni di isolamento e le limitazioni imposte, la comunità degli internati riuscì a sviluppare una vivace rete di attività interne. Furono infatti organizzate scuole per bambini e adulti, una biblioteca ricca di libri in più lingue, laboratori artigianali e spazi dedicati all’arte e alla musica. La musica, in particolare, divenne una sorta di colonna sonora di una storia che raccontava, pur nella drammaticità, un’altra forza, ben più profonda. Con le “Serate colorate”, i concerti organizzati dagli internati stessi, si creavano momenti di condivisione e sollievo, e la cultura diventava strumento di resistenza morale e psicologica.

La direzione del campo fu affidata a Paolo Salvatore, un funzionario del Ministero dell’Interno con una lunga esperienza nei luoghi di confino politico, tra cui Ventotene e Ponza. Salvatore ebbe un atteggiamento di rispetto della dignità degli internati (tra i tanti, l’episodio di quella volta in cui impedì l’ingresso dei tedeschi nel campo inventando la presenza di un’epidemia di tifo all’interno), e agevolò un’organizzazione che potesse facilitare la quotidianità di tutti, fino alla costituzione di un parlamento interno, con la rappresentanza dei componenti delle varie baracche, reso necessario dal numero degli internati che aumentava e dalla presenza di gruppi molto eterogenei per lingua e orientamento religioso. Lasciò che la cultura e i momenti di creatività trovassero spazio. Questo, unito alla solidarietà dimostrata dalla popolazione locale che, nonostante i divieti, fornì aiuti agli internati, contribuì a creare un clima diverso rispetto ad altri campi di internamento.

Dalla storia di Ferramonti, con il suo doppio aspetto di sofferenza e resilienza, è nata la mostra Ferramonti, una storia parallela, inaugurata il 13 gennaio 2025 presso il Teatro Menotti di Milano. Curata da Laura Vergallo Levi e Paolo Guido Bassi, l’esposizione racconta con grande ricchezza di dettagli la vita nel campo attraverso 14 pannelli che espongono documenti, fotografie e testimonianze, molti dei quali inediti. L’intento della mostra, oltre a ricostruire un capitolo della storia italiana, è quello di evidenziare il valore universale della cultura come forma di resistenza e coesione sociale. Un momento particolarmente emozionante dell’evento inaugurale è stato lo spettacolo teatrale che ha accompagnato la mostra, durante il quale un ensemble musicale ha eseguito le composizioni nate proprio a Ferramonti, come fosse un’estensione nel tempo delle serate vissute dagli internati.

La mostra è stata concepita come itinerante e ha già raggiunto sedi come il Liceo Parini e le scuole Faes di Milano, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza di questa storia “parallela” del periodo fascista a un pubblico prevalentemente giovane. Durante l’inaugurazione, Ruth Foa, una sopravvissuta del campo, ha condiviso il proprio pensiero sul ritorno dell’antisemitismo in Europa, e ribadito il valore di iniziative come questa nel preservare il ricordo di ciò che è stato e ripensare al presente.

Il 14 settembre 1943, Ferramonti fu liberato dalle truppe britanniche, che trovarono una comunità sorprendentemente attiva e organizzata, nonostante le privazioni subite. Alcuni degli internati rimasero nel campo fino alla sua chiusura definitiva nel 1945, mentre altri si trasferirono in diverse città italiane. A Milano, alcuni di loro portarono gli arredi della sinagoga provvisoria di Ferramonti, utilizzati per costruire il tempio Beth Shlomo, che ancora oggi rappresenta un simbolo tangibile di quella storia.

Con la mostra itinerante, la storia di Ferramonti continua a parlare, non per retorica, ma per la forza di coloro che hanno imparato a resistere con dignità, donandosi un’altra possibilità di sperare.

Tutta la storia di quegli anni è custodita nel Museo Internazionale della Memoria Ferramonti di Tarsia, nato nel 2004 e curato dalla Fondazione omonima. Qui, nei giorni a cavallo del 27 gennaio, si celebra ogni anno la Giornata della Memoria che accoglie come sempre tutti, a ricordare la “storia nella storia” del campo, e la vergogna delle leggi razziali con tutto quello che ne conseguì.

di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)

Foto tratte dalla pagina Facebook del Museo Internazionale della Memoria Ferramonti di Tarsia

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