Vedette, fiocine e un bicchiere di zibibbo per il rituale della caccia al pesce spada

Salerno-Reggio Calabria: tre parole, infinite deviazioni. La nostra autostrada è la grande metafora della vita: devi superare gli ostacoli per vincere. Se arrivi fino in fondo, però, il premio vale la corsa. Immagina di uscire a Bagnara Calabra, nel reggino, e scendere lungo i viadotti: è qui che si inizia a vedere una costa frastagliata che cade a picco sul mar Tirreno. È l’inizio della meraviglia: benvenuti in Costa Viola. Le chiamiamo amichevolmente “le cinque terre calabresi” perché Bagnara Calabra, Seminara, Palmi, Villa San Giovanni e Scilla sono i comuni che si affacciano su acqua, sale e leggenda. Ti dicono niente Scilla e Cariddi?
Proprio qui si perpetua la caccia del pesce spada. Me lo ha raccontato Maurizio Gramuglia della Cooperativa AgriCostaViola: «Una tradizione portata lungo le nostre coste dai Fenici, il mitico duello tra la forza dell’uomo e la velocità della preda, un tempo a bordo del luntre, oggi mitigata dal motore Diesel. L’antica imbarcazione, infatti, è stata sostituita dalle “passerelle”: barche di circa venti metri e con un’antenna alta trenta su cui l’avvistatore di bordo individua le prede». È lo scontro tra terra e mare e non c’è altra tecnica al mondo che somigli a questa caccia: immagina un pescatore che, invece di usare le reti, è armato di fiocina e di grande possenza fisica. Basti pensare che in passato i rematori che in estate si prestavano alla caccia erano gli stessi uomini che, in inverno, si mettevano al servizio della cucina per la realizzazione del torrone: in tre per mescolare una massa zuccherina di miele e mandorle equivalente a circa centi chili, facendo girare una sorta di cucchiaio gigante.




Il maschio si dispera, la femmina scappa!
La caccia al pesce spada, racconta Maurizio, è avvincente ed ha anche un lato romantico (o cinico, punti di vista). Il periodo clou per la pesca è tra aprile e settembre proprio perché la specie, in questo periodo, va in amore. Ciò giustifica la quantità di coppie nelle acque dello Stretto. Secondo la tradizione, l’uomo cerca di cacciare prima la femmina di pesce spada perché il maschio, dalla disperazione, si lascerebbe andare e sarebbe allora più semplice da braccare. Al contrario, vedendo il maschio in pericolo, la femmina pare se la dia a pinne levate. Credenze a parte, il momento della pesca determina anche la succulenza delle carni: tra maggio e luglio, proprio perché molto allenato, il pesce spada risulta più ricco di sostanze nutrienti e poco grasso. Al contrario, da luglio in poi, finiti i duelli per l’accoppiamento, inizia ad accumulare grasso per affrontare l’inverno (un po’ come certi uomini dopo il matrimonio, insomma).
Sapore di mare
Sapevi che il pesce spada è considerato il “maiale del mare”? Non si butta via nulla, si cuociono finanche le pinne. Sulla Costa Viola c’è una narrazione gastronomica di mare molto succulenta che lo vede grande protagonista nei piatti. Gramuglia snocciola un ricco menù: pasta con la scuzzetta e curitta del pesce spada (un sughetto ricco di pezzettoni di spada, olive e capperi), millefoglie, pesce spada alla bagnarota, all’acqua pazza, oltre al grande classico grigliato e condito con salmoriglio (olio, limone, origano).


I muretti a secco: Zibibbo e Nerello
Pure a tavola si realizza l’incontro mare-terra, ma stavolta sarà un matrimonio felice più che una lotta. Perché le acque dello Stretto hanno delle sentinelle: delle magnifiche colline che godono del panorama e della brezza marina. Sulla Costa Viola, questi rilievi hanno dislivelli elevatissimi con una pendenza che raggiunge anche il 70%. È proprio qui che si può ammirare l’arte dei muretti a secco, patrimonio immateriale dell’Unesco: sulle terrazze lavorate e adibite alla coltivazione dell’uva, si allevano lo Zibibbo e il Nerello. Qui il microclima è amico della viticultura. Siamo a circa 400 metri sul livello del mare e l’escursione termica è notevole: si tratta di una zona molto soleggiata, ciò vuol dire che si può passare dai 40 gradi diurni ai 15 notturni. Questo porta ad avere nel calice vini molto profumati e strutturati.
«Se si vuole comprendere il significato di viticultura eroica – spiega ancora Maurizio – basta venire qui a tenere l’equilibrio in mezzo alle “armacie” (si chiama così il tipico muro a secco) dove il lavoro viene eseguito esclusivamente a mano». L’obiettivo è il recupero e la valorizzazione dei terrazzamenti ma ha anche un risvolto sociale: «Il nostro desiderio è alimentare il ritorno all’agricoltura attraverso il recupero dei muretti che negli ultimi quarant’anni sono stati abbandonati perché richiedono una fatica enorme». Però che vista! In questa zona chiamata “Granaro” lo sguardo si perde e spazia da Scilla allo Stretto, dalle Isole Eolie fino a Capo Vaticano.



Insomma, metti un piatto di pesce spada alla bagnarota, aggiungi un calice di Zibibbo dal sorso lungo e sapido e i profumi della Costa Viola sono in tavola. A proposito! Sai perché si chiama così? Fu Platone nel IV secolo a.C. a tratteggiarne il profilo: “Ogni cosa si tinge con le diverse tonalità del colore viola, dando vita ogni sera, con i suoi spettacolari riflessi, ad una visione sempre nuova”.
Avere ogni giorno nuovi occhi come filosofia di vita e con lo sguardo affamato andare a caccia di tradizioni e sapori. Siamo sulla Costa Viola: qui, la caccia alla bellezza è sempre aperta.
di Rachele Grandinetti
info@meravigliedicalabria.it
Foto di copertina Costa Viola – foto di @deduzzo